La malinconia di un Giro preso in ostaggio


E’ un Giro molto strano quello che entra nella sua settimana decisiva. Per certi versi triste. Sicuramente molto più difficile nella sua gestione anche di quello fuori stagione del 2020, quando il covid impazzava. La corsa rosa ha vissuto una settimana da montagne russe: prima l’esclusione del leader, l’iridato Remco Evenepoel appena dopo la sua vittoria nella seconda cronometro, uno dei tanti che è stato trovato positivo al tampone in questi giorni dove il covid sembra (e non è così…) presente solo nella carovana rosa.

Poi le aspre polemiche per le scelte dei corridori che hanno di fatto reso l’organizzazione ostaggio: cancellazione di montagne, riduzione di quella che doveva essere la tappa principe a soli 74 km e poi, diciamoci la verità: finora non si è assistito a un grande spettacolo. I big procedono di conserva, pronti a giocarsi tutto nelle tappe o magari “nella” tappa decisiva. Ma intanto vanno via fughe bidone e in una di queste Bruno Armirail (Groupama Fdj), onesto francese senza un grande curriculum, si è preso il simbolo del primato e ha poco più di un minuto su Geraint Thomas (Ineos Grenadiers).

Perché avviene tutto ciò? La spiegazione forse va ricercata nel fatto che il ciclismo attuale è diventato al pari degli altri grandi sport professionistici. Girano tanti soldi, gli stipendi dei corridori sono lievitati e questo ha dato loro anche grande potere. A ciò però si aggiunga il differente peso specifico di organizzatori e movimenti ciclistici: la sensazione è che polemiche e proteste al Tour de France sarebbero state gestite in maniera diversa, con molta meno enfasi, proprio perché il potere lì ha un bilanciamento diverso. La Rcs non ha mostrato grande polso e vive una corsa senza picchi, due settimane dove non ci si è divertiti granché e sperare che tutto cambi nell’ultima è un po’ poco.

Molti hanno puntato l’indice contro il sindacato corridori, ritenuto un organo di grande impatto e peso politico. Forse però ci si è dimenticati troppo presto di quanto successo lo scorso anno, con la chiusura inopinata decisa dall’Uci della Gazprom, la squadra “colpevole” di essere affiliata in Russia, mettendo di fatto per strada tantissimi corridori ma anche meccanici, operatori, insomma semplici lavoratori. Non è che lì il sindacato abbia fatto qualcosa…

I motivi d’interesse comunque non mancano: la sfida per la rosa ormai sembra racchiusa fra Roglic e Thomas, ma soprattutto fra le rispettive squadre, Jumbo Visma e Ineos Grenadiers. La seconda sembra più attrezzata guardando la classifica, ma Roglic pare avere qualcosa di più in canna. Potrebbe poi svilupparsi una gran lotta per il podio, che coinvolge anche il nostro Damiano Caruso (Bahrain Victorious), encomiabile nel suo impegno, ma i concorrenti non mancano, da Almeinda (Uae Team Emirates) a Dunbar (Jayco Alula); da Kamna (Bora Hansgrohe) a Pinot (Groupama FDJ), tutti ancora in corsa anche per il successo pieno. L’unica incognita è quanto i corridori avranno voglia di mettere davvero in gioco tutto quel che hanno. Il prestigio del Giro lo meriterebbe.

foto ARmirail in maglia rosa (foto Lapresse)

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