C’era una volta “La Gran Fondo Beppe Saronni”. Pensata e organizzata sulla scia delle corse amatoriali intitolate ai campioni del ciclismo nazionale, la “Saronni” si disputò tra il 1998 e il 2000, senza riuscire ad imporsi ai massimi livelli dell’attenzione nazionale, ma ritagliandosi comunque uno spazio di rilievo tra i granfondisti della Lombardia e delle regioni limitrofe. Quelli erano gli anni in cui non c’era un fuoriclasse del pedale che non avesse una Gran Fondo a ricordo delle propria carriera ciclistica. Addirittura, quando i nomi eccellenti erano finiti, non si lesinavano intitolazioni alle seconde o alle terze linee dei professionisti nazionali pur di lanciare questa o quella nuova Gran Fondo. Nel caso della “Saronni”, bisogna riconoscere che un Campionato del mondo, due Giri d’Italia e tante altre vittorie nelle corse più famose hanno giustificato appieno l’iniziativa di inserire in calendario una Gran Fondo intitolata a un campione di tale livello. La partenza e l’arrivo della corsa erano fissati a Varese e precisamente all’interno dello stadio “Franco Ossola”, noto, oltre che per le gare della locale squadra di calcio, anche per il velodromo che, in quegli anni, faceva da anello al campo, ma che temo sia stato sacrificato alle esigenze di ristrutturazione e di ammodernamento dell’intero impianto sportivo. Non ne conosco con precisione il destino, ma ricordo quanto fosse divertente attendere l’incolonnamento nelle griglie di partenza della “Saronni” inanellando giri di pista e azzardando tentativi di surplace sulle ripide inclinazioni delle curve paraboliche. Per il resto, la corsa proponeva ai granfondisti un programma di tutto rispetto, articolato su una vigilia di efficiente consegna del pacco-gara e su una giornata di gara all’insegna di un’offerta sportiva gratificante e soddisfacente per tutti. I due tracciati, il più impegnativo di circa 175 chilometri e quello alternativo di 130, erano disegnati dagli organizzatori su e giù per i rilievi della provincia di Varese, dove è possibile trovare tanto le salite pedalabili, quanto quelle dalle pendenze più fastidiose, soprattutto se inserite nelle fasi finali di una Gran Fondo. Inoltre, era decisamente originale non solo la collocazione del traguardo, proprio sul velodromo all’interno dello stadio, ma anche le premiazioni sul prato del campo da calcio, a imitazione di quanto di simile accade ogni anno al termine della Parigi-Roubaix dei professionisti. In aggiunta all’aspetto viabilistico, ricordo che era di qualità anche l’intero apparato organizzativo: dalla gestione delle griglie di partenza ai ristori in corsa, dalla qualità del pacco-gara all’abbondanza dei premi finali. Tant’è che, dopo un paio di edizioni di rodaggio, nel 2000 la “Saronni” conobbe il suo momento di maggior richiamo trovando posto all’interno del “Master Tricolore”, un Challenge che oggi non esiste più esattamente con quella denominazione, ma che in quegli anni raccoglieva una partecipazione apprezzabile. Ciononostante, il declino graduale della popolarità del “Master Tricolore” e la contestuale crescita dell’offerta granfondistica, piano piano, hanno incrinato l’entusiasmo degli organizzatori, facendo mancare i presupporti affinché la “Saronni” potesse continuare a essere riproposta.

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