Ecuador e Austria prevalgono nell’Olimpiade degli errori

Le due gare su strada a Tokyo 2020 sono state per alcuni versi diverse, per altre molto simili: se in campo maschile il podio rispecchia, anche se non nell’ordine, quello che anche il resto della stagione ha detto, la gara femminile ha sovvertito ogni pronostico, con l’oro andato alla semisconosciuta austriaca Anna Kiesenhofer che ha sfruttato la fuga concessale dal primo minuto, inizialmente insieme ad altre 4 carneadi.

E’ giusto partire questa volta dalle donne, anche perché il bronzo conquistato da Elisa Longo Borghini ha un valore che va ben al di là del puro metallo. L’azzurra è stata intelligentissima nell’interpretare l’evoluzione della gara, sfuggita di mano all’Olanda per una semplice ragione: la cittì olandese Loes Gunnewijk non ha formato una squadra, ha solo messo insieme le 4 atlete più forti, assolutamente incapaci di gestire la corsa insieme. Nessuna si è sacrificata a tirare, nessuna delle altre squadre ha voluto togliere loro le castagne dal fuoco, così l’austriaca è andata a vincere. Oltretutto le olandesi non si sono neanche accorte della fuga e qui è l’errore della loro responsabile, perché quando la Van Vleuten è andata in fuga e tagliato il traguardo, era convinta di aver vinto. Bravissima invece Elisa ad attaccare nel finale e proiettarsi verso il bronzo: dal punto di vista tattico forse sarebbe stato utile piazzare una Paladin nella fuga iniziale, ma con sole 4 atlete a disposizione, questa eventualità non era stata presa in considerazione.

Il punto in comune con la gara maschile è stata proprio la fuga iniziale, che ha assunto contorni quasi assurdi con oltre 20 minuti di vantaggio. Anche qui è stato lasciato tutto il peso della corsa sul Belgio, ma a differenza delle olandesi i “cugini” non si sono tirati indietro, anche se questo è costato a Van Aert la mancanza di compagni nel momento dell’ascesa al Mikuni Pass, rivelatasi decisiva.

Van Aert è stato ammirevole, ha ricucito continuamente una corsa che si spezzettava di continuo, ma non ha potuto nulla quando l’ecuadoriano Richard Carapaz e l’americano Brandon McNulty si sono involati. Lo statunitense poi si è spento, Carapaz invece è andato a conquistare un oro meritatissimo, mentre la volata del gruppetto inseguitore vedeva Van Aert beffare per centimetri il re del Tour Tadej Pogacar.

Proprio Pogacar aveva fatto esplodere la corsa in salita, ma lì ha commesso un errore: era insieme al canadese Woods e a McNulty, suo compagno all’Uae Team Emirates, ma i due non si sono parlati, non si sono accordati anche se avevano molti interessi in comune. Lo stesso errore è stato compiuto da Alberto Bettiol, autore di un’azione con il colombiano Rigoberto Uran suo compagno all’EF Education First, anche qui è mancato l’accordo.

Bettiol introduce al discorso sull’Italia, sfaldatasi al caldo giapponese senza incidere sulla corsa. Si puntava su Moscon, è stato tenuto al coperto, ma quando la corsa si è accesa il corridore della Ineos si è subito esaurito. Nibali aveva fatto il suo, lavorando per gli altri e lo stesso hanno fatto Caruso e Ciccone, non competitivi in una corsa secca. Bettiol si è ritrovato capitano, era nel gruppo di testa ma i crampi lo hanno tolto di mezzo quando la gara si stava per decidere. E’ evidente che chi veniva dal Tour aveva qualcosa di più sugli altri e che l’essere partiti a meno di una settimana dalla gara non ha pagato. Per fortuna ci ha pensato Elisa ad addolcire la bocca…

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Credito foto: cyclingnews.com