C’era una volta la “Gran Fondo dell’Amiata”. Si correva nella seconda metà di giugno tra il verde dell’Alta Maremma, zona con una tradizione cicloamatoriale ricca di partecipazione e di entusiasmo. La “Gran Fondo dell’Amiata” partiva e arrivava ad Arcidosso, in provincia di Grosseto, e si snodava per 200 chilometri negli abitati carichi di storia che fanno da corona al monte Amiata, cima Coppi della manifestazione con i suoi 1700 metri di altitudine. La corsa attraversava paesi affascinanti come Semproniano, ancora pressoché immutato nella sua impronta medioevale, o come Pitigliano, con le sue caratteristiche costruzioni di tufo. Attorno a metà gara si passava anche da Manciano, per anni sede di partenza e di arrivo della “Gran Fondo Lelli”, ma non prima di aver attraversato l’abitato di Saturnia, dove la tradizione termale affonda le radici nella notte dei tempi. Dopo aver pedalato per circa 150 chilometri nel verde della Maremma toscana, la corsa proponeva l’ascesa del monte Amiata: l’asperità più impegnativa della Gran Fondo. Affrontata dal versante di Santa Fiora e di Pian Castagnaio, la salita vera e propria iniziava dopo il passaggio da Arcidosso e impegnava i cicloamatori per 11 chilometri scanditi da una pendenza media vicina al 9%. La fatica non era certo indifferente, ma l’ambiente naturalistico che le faceva da contorno contribuiva ad attenuarla, fino a renderla addirittura sopportabile. Dalla cima dell’Amiata, poi, la discesa e gli ultimi saliscendi fino a Castel del Piano conducevano all’arrivo, in leggera salita, di Arcidosso. La “Gran Fondo dell’Amiata”, organizzata per la prima volta nel 1987, conobbe la sua massima popolarità nella prima metà degli anni ’90, quando venne inserita anche nei primissimi tentativi di allestire un circuito granfondistico nazionale. Tant’è che nel ’94 venne inserita come sesta tappa dell’edizione d’esordio del “Tour d’Italia”. Poi, piano piano, sulla corsa scese l’oblio.

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