La multidisciplinarietà, base del nuovo ciclismo

Il ranking di fine anno del ciclismo professionistico vede ai primi 6 posti nell’ordine Roglic, Pogacar, Van Aert, Van Der Poel, Fuglsang e Alaphilippe: che cosa unisce quasi tutti questi corridori? Il fatto che, salvo Pogacar, hanno tutti un passato o un presente in altre discipline sportive. Per Roglic ci sono radici nel salto dal trampolino con gli sci, dove ha anche colto un podio mondiale da junior, Gli altri sono tutti passati attraverso il ciclocross, la Mtb, la Bmx. Sono i principali esponenti di un ciclismo nuovo, quello del terzo millennio che si fonda sulla multidisciplinarietà. Un concetto che in Italia iniziamo a far nostro solo ora, mentre negli altri Paesi è considerato fondante di tutta l’attività ciclistica.

Consideriamo ad esempio la Francia: tutti i ciclisti, di qualsiasi specialità, hanno le loro radici nella Bmx, nel senso che ogni genitore inizialmente insegna ai propri figli ad andare in bicicletta attraverso questi piccoli mezzi, ideali per evoluzioni, giochi, sfide fra bambini. Attraverso le Bmx i bambini acquisiscono non solo l’equilibrio, ma anche le capacitò di guida che si riveleranno indispensabili col passare degli anni. “La Bmx è divertimento puro – sentenzia il coordinatore delle squadre nazionali (nonché cittì su strada) Davide Cassani – che riesce a catalizzare l’attenzione dei più piccoli che solitamente si annoiano molto presto, anche in bici. In Bmx questo non accade perché si possono fare cose sempre diverse. Noi paghiamo una cronica assenza di impianti, anche se la situazione sta pian piano migliorando: un genitore sarà sicuramente invogliato a portare i propri figli in un impianto chiuso, protetto, sulle piste da Bmx invece che vederlo andare su strada con tutti i rischi che ben conosciamo”.

Cassani, sin dal suo arrivo, ha subito spinto l’acceleratore sul tema della multidisciplinarietà, stendendo una rete fra le varie specialità e puntando un forte impegno generalizzato in più discipline. Il primo risultato è stato il grande rilancio della pista, tornata agli antichi fasti, ma il discorso è più profondo e deve riguardare anche la strada: “Perché in Italia ci siano nuovi Van Aert e Van Der Poel dovremo ancora attendere anni, soprattutto bisogna lavorare sulla mentalità dei tecnici, molti dei quali ancora guardano esclusivamente alla strada e sono portati a far passare i giovani troppo presto alle categorie più grandi, col risultato che essi non hanno le capacità per resistere in un mondo durissimo come quello professionistico. E’ vero però che le più giovani generazioni hanno capacità di guida eccezionali e questo nasce proprio da un diverso approccio con la bici, è un fatto che mi fa ben sperare”.

Intanto possiamo goderci un settore che vive un momento magico: la pista: “I grandi risultati che hanno ottenuto Viviani nelle stagioni scorse e Ganna in questo clamoroso 2020 vengono proprio da lì, senza contare le ragazze, molte delle quali abbinano strada e pista con ottimi risultati. La multidisciplinarietà è fondamentale, soprattutto nelle prime fasi della formazione di un ciclista. E’ chiaro che Van Aert e Van Der Poel sono atipici, ormai uno stradista inizia a gareggiare già a gennaio e va avanti fino a ottobre, lo stesso Alaphilippe non gareggia più sui prati, ma spesso ci si allena per non perdere agilità di guida. Sono esempi da tenere a mente”.

Credito foto homepage: federciclismo