Evenepoel vince la Liegi dei rimpianti

La Liegi-Bastogne-Liegi di quest’anno sarà l’edizione di quel che poteva essere e non è stato. L’edizione che di fatto è finita dopo appena 85 km, quando Tadej Pogacar è rovinosamente caduto rompendosi lo scafoide sinistro e mettendo fine al suo sogno di essere il terzo corridore nella storia a realizzare il Trittico delle Ardenne (Amstel+Freccia+Liegi) e essere il secondo dopo Merckx (1969 e 1975) a fare doppietta Fiandre-Liegi.

Doveva essere il giorno della grande sfida con l’iridato belga Remco Evenepoel, altro facente parte di quella ristrettissima cerchia di fenomeni che sta caratterizzando il ciclismo attuale e per come la corsa si è evoluta, la sfida ci sarebbe stata. Il campione della Soudal Quick Step è partito come suo solito lontano dal traguardo, trasformando la gara in una cronometro personale contro il gruppo, con un vantaggio sempre oscillante intorno al minuto. Pogacar avrebbe retto l’impatto, forse lo avrebbe anche anticipato. Impossibile dire come sarebbe andata, per questo l’epilogo finale lascia un senso di malinconia.

Evenepoel ha chiuso la campagna del Nord confermando l’opinione generale che il grande fascino del ciclismo attuale ha una controindicazione: manca quell’incertezza che ha sempre contraddistinto le corse su due ruote. Ci sono una manciata di campionissimi che si danno battaglia fra loro, gli altri sono diventati comprimari. A Liegi si è visto Pidcock, ancora all’inseguimento della miglior condizione dopo la caduta rovinosa alla Tirreno-Adriatico, centrare il secondo posto dopo il terzo della Amstel, dimostrando di essere il “primo degli umani” e forse l’unico che davvero può ambire a entrare in quell’empireo. Gli altri lottano, sapendo che saranno rincalzi esattamente come avviene nel ciclocross al cospetto di Van Der Poel, Van Aert e lo stesso britannico, guarda caso appartenenti alla ristretta cerchia di cui prima.

Noi non ne abbiamo in quel contesto magico e dobbiamo accontentarci. A Liegi Velasco ha provato la soluzione da lontano, Ciccone è apparso brillante a tratti (ma il suo 5° posto alla Freccia Vallone è oro colato in questo momento) e fa sperare per il Giro d’Italia, ma altro non c’è. Per il quarto anno consecutivo non ci sono italiani nella Top 10 di quella che una volta era la “course des italiens” e resta difficile pensare che a breve ci sia un’inversione di tendenza. Almeno finché non avremo un team WorldTour e soprattutto non si metterà mano al calendario junior e under 23 sfoltendolo delle sue troppe prove, corse d’un giorno che fanno felici solo i piccoli sponsor, d’altronde gli unici che in questo movimento ci credono ancora.

(foto Ansa)

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