Asgreen, non proprio una sorpresa

Molti dicono che la vittoria di Kasper Asgreen (nella foto della homepage) al Giro delle Fiandre è stata una sorpresa. Non è così, se si va a guardare bene la carriera del danese, che già nel 2019 era giunto secondo e che nell’ultimo anno aveva collezionato, sulle strade belghe, i successi alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne 2020 e ad Harelbeke giusto pochi giorni prima del trionfo sui muri. La sua propensione per questo tipo di gare non era sfuggita a un vecchio volpone come Patrick Lefevre, il manager della Deceuninck Quick Step che infatti gli aveva affidato la marcatura stretta di Mathieu Van Der Poel.

A ben guardare, l’evoluzione della gara ha ricordato a molti la vittoria, in epoca lontana, di Dino Zandegù nel 1967: alla Salvarani si puntava su Gimondi, ma Luciano Pezzi disse al giovane Zandegù di appiccicarsi alla ruota del favoritissimo Eddy Merckx, finché sull’ultimo muro si ritrovarono in 3: il Cannibale, Zandegù e l’altro belga Foré, e clamorosamente fu proprio Merckx il primo a cedere, mentre l’italiano in volata ebbe facilmente ragione dell’ultimo reduce. Ricalcando la stessa strategia, Asgreen l’ha avuta vinta, regolando in volata l’olandese apparso alla fine stanco dopo aver dominato la corsa.

E’ innegabile infatti che Van Der Poel sia comunque uscito da protagonista assoluto della gara. Sono stati i suoi attacchi a scompaginare la corsa, a mandare in crisi i principali avversari, da Alaphilippe a Van Aert, ma alla fine non ne aveva più e la sua sconfitta è la conferma di un assunto emerso fortemente dalla prima parte della stagione, ossia che pur in presenza di campioni assoluti per le corse d’un giorno come i tre corridori citati, a vincere spesso sono altri proprio perché c’è un forte livellamento dei valori che viene deciso in base a particolari, spesso legati alle tattiche di gara. Van Der Poel ora si tira da parte, per iniziare la sua campagna di preparazione per la gara olimpica di Mtb e si può stare certi che, proprio a livello tattico, le gare dei PRO su strada cambieranno.

Purtroppo, in questo panorama gli italiani sono stati mere comparse, con l’unico che ha provato a fare qualcosa che è stato il solito Trentin, condizionato una volta di più dalle forature. La sensazione è che non si tratti, come spesso si è detto fin qui, della mancanza per il ciclismo nostrano di uno specialista delle corse a tappe, ma di un vero e proprio campione trascinante, in qualsiasi tipo di gara. Dovremo attendere, speriamo non troppo, anche se l’imminente Campagna delle Ardenne storicamente è più favorevole ai nostri colori.

Credito foto homepage: cyclingnews.com